Da sedici anni gestisce l’autodromo del Mugello, uno dei circuiti più apprezzati al mondo sia dai piloti che dagli appassionati di motori. Ma nella vita Paolo Poli, 55 anni, è un uomo a due velocità: in Ferrari una carriera brillante ed esplosiva, sempre con il piede piantato sull’acceleratore, fuori dal circuito invece ha imparato nel corso degli anni a rallentare, se necessario anche a fermarsi per riflettere, ripercorrere il passato, godersi più a fondo il presente.
Poli, esattamente qual è il suo rapporto con la velocità?
"Ho imparato ad apprezzare il viaggio lento, ma l’ho capito solo con il tempo: vivere ogni giorno nella velocità ti porta a vedere gli aspetti negativi che questa comporta. Non parlo solo delle conseguenze più evidenti. Se nella vita lavorativa corri troppo, ti perdi dei pezzi. Io sono andato forte, in 55 anni ho corso tanto, ma oggi che sono più riflessivo mi rendo conto che ho apprezzato quello che mi è passato di fianco solo dopo, riavvolgendo il nastro".
E la curva più difficile che ha dovuto affrontare?
"L’abbandono della giovinezza. Ero un ragazzo di Scarperia spensierato che in un anno, anzi meno, si è trovato catapultato in Ferrari. L’ingresso in azienda è stato uno choc. Erano gli anni Novanta, lavorare in Ferrari richiedeva determinati standard, allora come oggi il blasone del marchio lo senti, ha un peso enorme. Se per un laureato alla Bocconi magari entrare a Maranello è un passo più facile, per un ragazzo di provincia e senza neanche troppe aspettative come ero io, il colpo fu davvero forte. Mi sono subito dovuto rapportare con figure di una certa caratura, l’amministratore delegato all’epoca era Piero Fusaro, poi arrivò l’avvocato Montezemolo, dopo Marchionne e poi altri ancora".